mercoledì 10 giugno 2009

Referendum 2009 "Perché votare SI"

Presentazione dei quesiti

I quesiti in pillole

Testo dei quesiti


7 giugno 2009



Tutte le bugie sul referendum

Undici risposte ad undici obiezioni
- Il referendum è inutile perché non cancella le liste bloccate. E’ vero che non cancella questo sconcio. Purtroppo non è possibile farlo con un referendum. Ma questo è il referendum contro la "legge-porcata” di Calderoli, e se passerà il suo significato politico sarà questo: il Parlamento sarà costretto a fare le riforme che oggi non vuole fare. Sarà una scossa che rimetterà in moto le cose. A suo tempo neanche l'elezione diretta del sindaco era tra i quesiti (anche quella non poteva esserci), ma la vittoria del sì nel '92 obbligò il Parlamento a vararla. Della “porcata” il referendum cancella invece un’altra vergogna, la possibilità di candidature multiple. Piuttosto la domanda da fare è questa: c’è qualcuno che crede che, se il referendum fallisse, i partiti farebbero le riforme? No, se il referendum fallirà tutto resterà come prima. Qualcuno andrà in tv e dirà: “Vedete? Gli italiani sono contenti di questo sistema elettorale e di questa politica” - Il referendum non serve, perché dopo i partiti cambiano tutto. A volte è capitato. La legge sul finanziamento dei partiti è stata scippata in modo vergognoso dal Parlamento, e la stessa legge Calderoli ha stravolto vergognosamente il referendum del '93, anche se ha comunque dovuto rispettare almeno il principio del bipolarismo, proprio perché quella scelta gli elettori l'avevano voluta e la vogliono ancora fortemente. Per il resto l'attuale legge è una porcheria. Consente ad un partitino di mettere la maggioranza con la schiena al muro e di minacciare continuamente le crisi di governo. Non dobbiamo arrenderci a questa situazione. Questo è un referendum proprio contro quello “scippo”. Del resto la storia d’Italia è stata fatta molto dai referendum, e la maggior parte delle volte il risultato è stato rispettato. La elezione diretta del sindaco è sempre lì. - Con le elezioni il quadro politico è stato semplificato, e il referendum è dunque superato. Quando abbiamo raccolto le firme non esistevano né il PD né il PDL, ed è stata proprio la campagna referendaria a spingere i partiti a fare queste aggregazioni. Ma la politica italiana è ancora instabile. Se vince il sì questi partiti rimarranno uniti e ci avvieremo al bipartitismo. Se il referendum perde si può sfasciare tutto. E poi l’instabilità c’è con qualsiasi coalizione, anche di tre partiti. Basta ricordare il ricatto della lega per non fare l’election day con il referendum il 6 e 7 giugno. Ma si possono immaginare Obama, Sarkozy o Zapatero andare in televisione e dire “io vorrei fare questa cosa per il bene del paese, ma se la faccio gli alleati mi fanno la crisi di governo. E quindi non la faccio”? È proprio quello che Berlusconi ha dovuto ammettere soltanto poche settimane fa di fronte al ricatto della Lega sulla questione dell'abbinamento del referendum all'election day. Quello che cambierebbe è che nessun partito delle coalizioni di governo potrebbe ricattare gli alleati. Non ci sarebbero stati i diktat dei Mastella e dei Giordano della scorsa legislatura nel centro-sinistra, e dei Bossi e dei Maroni nel centrodestra in questa. Una cosa deve essere chiara: IN NESSUN PAESE CHE CONTA UNA MINORANZA PUÒ FAR CADERE IL GOVERNO. PER QUESTO L’ITALIA NON CONTA - Le leggi elettorali deve farle il Parlamento. In linea di principio ciò è giusto, ma in Italia le uniche riforme, come il maggioritario e la elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia e del governatore, sono state fatte, a furor di popolo, dai referendum degli anni '90. Il Parlamento parla di riforme da trent’anni, ma è bloccato
perché controllato dai partiti che non le vogliono. Soltanto i cittadini possono cambiare e dare un scossa perché si facciano le riforme. - Il referendum è pericoloso: aiuta Berlusconi. Qualunque sia la posizione politica che si ha, questa è comunque una grandissima balla. Dicono che se passa il referendum Berlusconi e il suo PdL, con il 40% dei voti, prende il 55% dei seggi in parlamento. Attenzione, può avvenire già oggi con l'attuale legge-porcellum. Per fare questo Berlusconi non ha alcun bisogno del referendum che su questo punto non cambia niente (i cambiamenti sono altri). Tutto questo è un effetto della legge elettorale oggi in vigore, la quale già prevede che alla lista più votata venga attribuita anche la maggioranza assoluta dei seggi in palio. - E’ antidemocratico che un partito del 40% abbia il 55% dei seggi. No, questo non è vero. Nei paesi anglosassoni, la culla della democrazia, ciò accade spesso. Thatcher e Blair hanno sempre governato con queste percentuali, e nel 2005 Tony Blair, con il 35,3% dei voti, ha preso il 55 % dei seggi ed ha eletto 360 deputati contro i 260 di tutte le opposizioni. Il maggioritario è questo: chi vince governa, chi perde controlla. - Ma addirittura con il 20% dei voti si può prendere la maggioranza assoluta dei seggi. Ancora una volta occorre ricordare che questo può accadere anche oggi, proprio con la legge che combattiamo, e non sarebbe un effetto del referendum. Se una coalizione prende il 20%, la seconda il 19%, la terza il 18% e le altre ancora meno, la prima ha la maggioranza assoluta in Parlamento. In realtà però si tratta di un’ipotesi teorica, sostanzialmente impossibile a realizzarsi. Già oggi i due principali partiti hanno più del 20%! E poi il desiderio di vincere spinge a fare aggregazioni vaste, per battere l’avversario. Nel 2006 questo ha portato ad aggregazioni enormi, 16 partiti da una parte e 17 dall’altra. Se passa il referendum chi vuole aggregarsi per vincere dovrà fare una lista unica, con grande vantaggio per la stabilità e la chiarezza. - Il referendum rafforza soltanto chi ha la maggioranza. Non è vero. Aiuta anche l’opposizione, anzi forse ancora di più. Quando ci sono le elezioni la maggioranza va al governo ed è unita dall’esigenza di non perdere il governo, mentre l’opposizione tende a sfasciarsi, a litigare, e ciascun partito va per conto suo. Lo vediamo già oggi con la rissa continua tra PD e Italia dei valori. Litigano perché vogliono rubarsi reciprocamente i voti per essere più forti quando si tratterà di contrattare la formazione della coalizione elettorale. Se ci fosse il bipartitismo il partito di opposizione rimarrebbe unito e dovrebbe pensare soltanto a fare delle proposte serie che gli consentano di vincere le elezioni la volta successiva. - Il referendum fa spendere soldi. La democrazia ha i suoi costi. Vogliamo rinunciare alla democrazia per risparmiare qualcosa? Mussolini diceva che le elezioni costano caro, e infatti per vent’anni non le ha più fatte. Ma attenzione, se si fosse accolta la nostra richiesta di votare nello stesso giorno, il 6 e il 7 giugno, europee, amministrative e referendum, si sarebbero risparmiati ben 400 milioni di euro. E’ stata la Lega a impedire questo e ad addossare alla collettività un costo enorme. - Il referendum porterebbe ad un bipartitismo forzato. E’ vero, il referendum spingerebbe al bipartitismo. Questo è il suo valore politico, questo è l’obiettivo che ci prefiggiamo. Ed è un obiettivo importantissimo e positivo. Tutte le grandi democrazie si fondano su due grandi partiti. Negli USA i democratici e i repubblicani, in Gran Bretagna i laburisti e i conservatori, in Spagna e in Germania i popolari i socialisti, in Francia o socialisti e il partito di Sarkozy. Questo non significa che non vi siano altri partiti più piccoli, ma che ciascuno dei due poli ruota attorno a un grande partito. Ma questa è la garanzia di stabilità e di efficienza di quelle democrazie: e questo è ciò che il referendum ci darebbe anche in Italia. E poi
non ci sarebbe nessuna forzatura. Gli italiani che hanno votato per i due principali partiti sono più del 70 %. Più di quanto abbiano ottenuto insieme i due principali partiti in Inghilterra nel 2005 (67,6%). - Ci sarebbe meno pluralismo. Non è vero. I partiti che superano il 4 % sarebbero comunque rappresentati. E poi la frammentazione estrema non porta pluralismo: porta a inefficienza, paralisi, e anzi immobilismo. Il vero pluralismo ha bisogno dell' alternanza, del ricambio. Solo questo mette al riparo dalla cosa più soffocante che ci sia, il consociativismo. Noi non vogliamo colpire il sano pluralismo. Vogliamo colpire il potere di ricatto dei partiti dentro le coalizioni. Vogliamo eliminare l’idea della coalizione. Che è una contraddizione in termini: si sta insieme, ma ci si combatte anche per rosicchiarsi reciprocamente voti. Un assurdo. E il tempo si spreca nei negoziati tra i partiti, anziché pensare al bene del paese. Noi ci ispiriamo ai modelli anglosassoni. Ti pare che in quei paesi non ci sia pluralismo?

Ufficio stampa

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