lunedì 17 agosto 2009

Canada, gli orrori segreti di ottomila piccoli indiani


MONTREAL - "I primi anni della mia vita li ho vissuti nei boschi di Abitibi, nel Grande Nord del Canada. Fui allevata secondo la tradizione della tribù Cree di mia madre e di quella Algonchina alla quale apparteneva mio padre. Un giorno, era il 1955, si presentarono due uomini nelle loro eleganti divise rosse della polizia federale e portarono via mio fratello, poi l' anno successivo tornarono e presero anche me per andare a studiare nelle Scuole residenziali cattoliche. "Avevo cinque anni e ricordo che miei genitori piansero a lungo, ma non si opposero. Provai del rancore verso di loro perché non sapevo che avevano ben poca scelta, costretti com' erano dalle leggi canadesi. Non immaginavo nemmeno che dalla scuola sarei tornata al mio villaggio solo dopo anni. E molto, molto diversa. Gli abiti mi furono subito bruciati e i lunghi capelli tagliati, la mia pelle lavata e strofinata con spugnette abrasive. Dicevano che la mia lingua era "da selvaggi" e quando venivo sorpresa a parlarla ricevevo schiaffi così forti che ancora oggi ho disturbi all' udito". Jackie Kistabish, protagonista di questo racconto, è stata tra le prime donne indiane a parlare pubblicamente dell' esperienza vissuta nelle Scuole residenziali, una sorta di lager per bambini indiani lasciato gestire dal governo ai missionari cattolici, protestanti, anglicani e delle Chiese Unite canadesi con l' unico scopo di catechizzarli fin dalla più tenera età e, attraverso di loro, estirpare quello che il fondatore delle missioni protestanti William Duncan definì "il nero mantello delle superstizioni degradanti che avviluppa i loro selvaggi spiriti". Oggi una serie impressionante di cause giudiziarie contro le chiese responsabili delle attività missionarie e contro il governo ha rivelato agli stessi canadesi la vera storia di un fenomeno che imbarazza non poco questo paese orgogliosamente in testa a tutte le classifiche, da quelle di Amnesty sulla salvaguardia dei diritti civili a quelle dell' Onu sullo sviluppo umano. Gli ex studenti che hanno denunciato alla magistratura dopo anni di silenzio e paura gli abusi commessi dentro quegli istituti sono dai cinque agli ottomila, e rappresentano solo la punta dell' iceberg, un mostro annidato per decenni nelle coscienze dell' intera nazione canadese dove vivono 600.000 indiani "censiti", dalla British Columbia al Quebec, alle terre degli eschimesi. L' attività delle Scuole residenziali in Canada e Quebec è durata quasi un secolo, dal 1920 quando venne ufficializzato l' obbligo di frequenza per tutti i bambini dai 5 ai 16 anni, al 1986, quando venne chiuso l' ultimo istituto. Ma già negli anni ' 60 gran parte delle strutture furono eliminate dopo la sollevazione di molte comunità indiane dove cominciarono a giungere racconti raccapriccianti su ciò che stava avvenendo dentro quegli edifici spesso fatiscenti. "Preti e suore - racconta ancora Jackie - ci spiegavano che tutto quello che avevamo imparato fino al momento di entrare nelle loro scuole era una creazione del diavolo: le storie ascoltate dai nostri anziani, il culto degli animali, il suono dei tamburi rituali, l' erba odorosa bruciata ritualmente, le danze. Quando avevo otto anni cominciarono gli abusi sessuali, e con essi le minacce, i silenzi, i segreti dolorosi che non sapevo di condividere con altre migliaia di bambini. La prima volta fu nel confessionale. Il prete mi costrinse a toccare il suo membro e alla fine sporcò il mio vestito. Mi minacciò se avessi parlato e alle suore disse che mi ero vomitata addosso". Le vittime degli abusi nelle Scuole residenziali costituiscono ormai gran parte della società indiana del nord Canada, con una percentuale spaventosa di alcolizzati e il record mondiale dei suicidi commessi nel clima apatico delle riserve dove vivono confinati. Gli psicologi oggi chiamano il fenomeno proprio col nome dei femigerati istituti religiosi: "sindrome delle Scuole residenziali". Nel 1987 Jan Derrick More, terapista familiare che lavorava in una comunità di indiani Thompson nelle riserve di Lytton, scoprì per primo che gli episodi apparentemente isolati avvenuti in diverse Scuole residenziali avevano radici e connessioni assai più profonde e inquietanti di ogni peggiore immaginazione. More aveva in cura due fratellini indiani pieni di problemi di aggressività e tendenze suicide. Scoprì che ai bambini, cresciuti con la nonna, erano totalmente mancati l' amore e la presenza della madre, ex studentessa della Scuola residenziale cattolica St. George. Lo psicologo la invitò ad unirsi alla terapia e la donna, appena ventenne, arrivò nello studio con sua sorella. Dopo giorni e giorni di colloqui, per la prima volta la madre riuscì a dire ai figli che li amava e tutti scoppiarono a piangere. Le sorelle si confessarono allora reciprocamente di aver vissuto la stessa esperienza, prive dell' affetto della loro madre che non le aveva mai abbracciate una volta in vita sua. Lo psicologo decise di chiamare anche la nonna dei bambini, e si scoprì che lei stessa, ex scolara cinquantenne della St. George, era una vittima della sindrome: aveva subito un trauma quando, tornata al villaggio, si rese conto con infinita tristezza che non parlava più la lingua del suo popolo e non poteva più comunicare con i nonni. La donna realizzò solo a quel punto che la sua condizione di indiana "moderna", estranea alla comunità tribale per via della lingua e della lunga assenza forzata, emarginata dai bianchi per la sua origine indiana, era alla base dei suoi problemi di alcol e del conseguente disinteresse per i suoi figli, cinque dei quali le erano stati infatti tolti. A Derrick More fu finalmente chiaro che il trauma della nonna si era trasmesso per generazioni fino ai due ultimi nati della famiglia e la storia della Scuola residenziale St. George finì sulla bocca di tutti. Centinaia, migliaia di casi analoghi uscirono lentamente e dolorosamente dal silenzio. Tra questi, la storia di Jackie. La ragazza metà cree e metà algonchina racconta in un libro, diventato anche uno sconvolgente documentario presentato al Festival della Presenza Autoctona che si tiene ogni anno a Montreal, di avere subìto tante violenze da essere diventata con gli anni ammalata di sesso, e di aver ritrasmesso ai suoi figli gli stessi abusi e sofferenze. Secondo un' apposita commissione governativa sollecitata da rapporti come quello di Derrick More c' era ben poca fantasia nelle testimonianze rese ai tribunali. Il loro contenuto ha imposto al Canada di rivedere, alla luce delle nuove aperture culturali di questi ultimi anni, una storia di emarginazione e usurpazione dei diritti ancestrali durata secoli, dall' educazione alla proprietà delle terre, dalla scomparsa delle tradizioni ai danni ambientali nei territori delle riserve. Ma chi rimborserà materialmente le vittime delle Scuole residenziali? Il Concilio canadese dei vescovi fa sapere che l' eventualità di un pagamento da parte del Vaticano è impossibile, perché quello con Roma è un vincolo religioso e non politico. Gli altri ordini religiosi hanno già minacciato bancarotta. E se alla fine pagherà il governo di Ottawa sarà in fondo la conseguenza di una politica sintetizzata da queste parole pronunciate a fine ' 800 da un certo Duncan Campbell, sovrintendente canadese degli Affari indiani: "Il nostro obiettivo è continuare finché non ci sarà un singolo indiano che non sia assorbito nel corpo politico del paese e non più questione indiana". Né più né meno di ciò che i sudditi di Sua Maestà tentarono piuttosto efficacemente con gli aborigeni australiani. La differenza è che in Canada nemmeno i capi tribù furono esenti da colpe, sebbene giustificate da una buona intenzione: "L' educazione serve a portare dalla miseria alla dignità", dissero fiduciosi molti di loro, con qualche voce fuori dal coro come quella di un capo cree: "Non potete strappate i nostri figli dalle braccia delle loro madri", gridò a uno degli agenti indiani che prelevava forzatamente i bambini tenda per tenda. Il risultato finale, del resto, non fu nemmeno quello sperato: solo tre studenti su cento hanno mediamente proseguito dopo il periodo dell' obbligo. -

dall'inviato di REpubblica RAIMONDO BULTRINI

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