martedì 21 maggio 2013

Bigenitorialità

Possono uomini e donne trovare una strada comune per combattere ogni genere di violenza senza ideologie? Usare il termine femminicidio aiuta?
Posted by mfpg
[a cura di Ettore Panella]

Ringrazio le amiche del Movimento Femminile per la Parità Genitoriale per avermi sottoposto questo stimolante quesito. Ci ho pensato un po’ e ho provato a rispondere. Pur avendo tagliato senza ritegno l’articolo è uscito comunque lunghetto, spero mi perdoniate.

Qualche giorno fa la mia amica Rita mi sottopose un articolo di fahreunblog scritto da un certo Broncobilly (http://fahreunblog.wordpress.com/2013/04/23/punire-il-femminicida/). Pur essendo un articolo brillantissimo mi resi conto subito che anche lui aveva commesso un errore comune che commettono in tanti ovvero considerare il sistema di definizione delle pene da comminare per ogni delitto come un sistema razionale mentre, al contrario, si tratta di un sistema basato sull’empatia.
La gravità o meno di una pena è legata alla quantità di empatia che la media (nota 1)  degli abitanti un paese nutre verso i soggetti coinvolti sia in termini puramente astratti (reo/vittima), sia in termini di caratteristiche personali (donna/uomo, antipatico/simpatico, vip/sconosciuto…).

Più un soggetto riesce a catalizzare empatia, meglio ne esce.

Faccio un esempio, mantenendomi in termini astratti. Nel caso dell’omicidio colposo ci sarà chi empatizzerà (nota 2), maggiormente con il colpevole perché in fondo chi è che non ha fatto una leggerezza nella vita?  Un bicchiere di troppo, uno starnuto o un’accelerata possono determinare un incidente mortale. Ci sarà chi empatizzerà maggiormente con la vittima o perché ha subito un incidente o perché pensa di poter essere investito.  Ci sarà chi empatizzerà un po’ per l’uno e un po’ per l’altra.

La pena che verrà stabilita dal potere politico sarà un compromesso tra le quantità di empatizzazioni che faranno pendere la bilancia per uno dei due; quanto più l’ago della bilancia sarà sfavorevole ad un soggetto, tanto più la punizione tenderà ad essere pesante. Il potere politico non ha sempre e solo un ruolo passivo alla “Ponzio Pilato” – che chiede di scegliere tra Gesù e Barabba – ma può condizionare la percezione della popolazione.

L’empatia è un processo naturale che può essere disattivato da emozioni, quali la rabbia, oppure dall’interesse economico.  Intervenendo sulla percezione della popolazione il potere politico può alimentare le emozioni empaticide o creare interesse economico al fine di modificare il flusso dell’empatia che non è mai un flusso stabile ma è sempre soggetto ai condizionamenti esterni.

Nel caso di omicidio volontario ognuno di noi tenderà a empatizzare con la vittima perchè partiamo dal presupposto che non abbiamo nessuna intenzione di uccidere (cosa tra l’altro vera, visto che solo una ultra minuscola frazione di popolazione realmente uccide). Potremmo però essere erroneamente e falsamente accusati di un omicidio e questo ci farà empatizzare con le “vittime degli errori giudiziari” portandoci a chiedere, da un lato, un processo giusto e, dall’altro, di limitare la richiesta di severità.

In questo processo conta molto la fiducia che la popolazione nutre verso la capacità della magistratura di assicurare processi veloci e giusti. Poichè in Italia questa fiducia è sempre più scarsa si determina un saliscendi dove un giorno si è giustizialisti e il giorno dopo garantisti.

Nel caso di violenza su una donna, ovviamente, le donne empatizzeranno con la vittima ma, essendo anatomicamente impossibilitate a violentare un uomo (in realtà alcune donne sono riuscite nell’impresa ma con metodi così articolati da scoraggiarne la maggior parte),  non potranno essere accusate falsamente.  Per un uomo è vero il contrario: non può veramente empatizzare con una donna – perchè non lo è – ma potrà invece empatizzare con un uomo falsamente accusato.

Un elemento di naturale correzione, in questo caso, permette di riequilibrare i pesi di empatia perchè una donna, alla quale si è legati da rapporti affettivi, può essere violentata; le donne possono empatizzare con uomini, ai quali sono legate, che sono stati o possono essere falsamente accusati. E’ il caso delle nuove compagne che vivono il dramma delle false denunce a carico dei loro uomini e, in una discreta percentuale dei casi, anche a carico loro e, magari, anche a carico dei loro figli. Un magistrato (il PM Carmen Pugliese) ha posizionato le false denunce intorno all’80% del totale (in realtà, considerando le assoluzioni, puntiamo oltre il 90%). Di recente, una donna Procuratore statunitense, dopo aver promosso per anni un sistema inquisitorio senza alcun diritto di difesa si è improvvisamente ricreduta quando suo figlio (maschio) è stato falsamente accusato ed ha rischiato di essere stritolato da quello stesso sistema che ella aveva contribuito a creare.

In questo caso particolare si crea un conflitto tra chi empatizza o solo con la vittima o solo con l’innocente falsamente accusato e chi con entrambi.  I primi cercano di schiacciare agli estremi la discussione, negando che esistano false accuse o vere violenze, utilizzando una strategia comunicativa che chiamo crociatizzazione quando voglio mettere l’accento sulla componente emotiva o polarizzazione quando voglio far credere di essere una persona colta (i paroloni in Italia pagano sempre).

In parole povere, “chiamare alla crociata” costringe a scegliere se stare da una parte o dall’altra, rinunciando a posizioni dialoganti. In questo tipo di strategia gli estremi sono, di fatto, alleati e operano avendo, come scopo principale, quello di evitare che gli elementi moderati (nel senso che sono disposti a empatizzare anche con le ragioni dell’altro) dialoghino tra loro. Usare il gruppo-pensiero di cui ho parlato in questo articolo (http://www.sublimia.it/Psicologia/gruppo-pensiero.html) aiuta a realizzare  lo scopo e, come ho già detto, alimentare la rabbia o gli interessi economici uccide l’empatia e quindi aiuta ulteriormente a polarizzare.

La polarizzazione serve a ottenere vantaggi di schieramento per non risolvere i problemi; infatti, una legge come quella contro lo stalking (a parte il fatto che è stata fatta talmente male che persino io avrei fatto di meglio), non funziona perché, se un magistrato dice che l’80% delle denunce in fase di separazione sono false (l’80% significa che su 100 denunce 80 servono ad ottenere vantaggi strumentali, e la PM si è tenuta bassa), in un  paese serio ci si mobiliterebbe se non altro perché se mandi le forze di polizia e i magistrati a “cogliere margherite”, poi, come cavolo pensi che possano essere efficaci nel 20% dei casi veri? E’ evidente che, sostenere acriticamente la non esistenza delle false accuse, implica automaticamente che non puoi avere la forza operativa per lavorare efficacemente su quelle vere.

Pensiamo ad una tecnica abbastanza usata nelle separazioni conflittuali: il genitore (in genere il padre) telefona, il genitore alienante risponde e dice: “il bambino ora è in bagno richiama tra dieci minuti“; il padre richiama e lei dice: “il bambino ora sta facendo i compiti richiama tra dieci minuti“, e così via; dopo un certo numero di telefonate scatta la denuncia di stalking. I tabulati indicano le molte chiamate ma nessuno ovviamente può verificare cosa si è detto.
Mi volete far credere che sia una libera iniziativa del genitore alienante e non un suggerimento di qualche “professionista” ?
Mi volete far credere che non c’è una responsabilità del sistema che alimenta il conflitto invece di sanarlo?
Ok, ci credo! Datemi solo un minuto per scendere dal pero…

E’ il caso di usare il termine femminicidio?

Dipende da quale scopo si vuole perseguire. Femminicidio è un termine adatto alla crociatizzazione. Se si parlasse di omicidi in famiglia io potrei essere ucciso da mia moglie (sono ragionevolmente convinto non voglia farlo, però, in linea puramente teorica la possibilità esiste), ma non potrei essere femmicidiato. Lei, al contrario, potrebbe (sempre in linea teorica) essere femmicidiata da me ma non potrebbe femmicidiarmi visto che posso garantire di non essere femmina (…fidatevi e non fate le solite battute. Birbantell*! ).

Quindi inconsapevolmente registrerò  il fatto che io posso essere solo colpevole e lei può essere solo vittima. Il sentire collettivo (una specie di “sommatoria” [nota4] di ciò di cui ognuno è intimamente convinto) maschile è che si è solo colpevoli mentre quello femminile è che si è solo vittime.

Che Volpi!

Quando si parla di prevenzione si chiede di fare più cultura, ma la cultura è una cosa che ha a che fare con la razionalità mentre, come ho detto, occorre un atto empatico. Fare cultura, al massimo, può aiutare ma empatizzare è un atto libero che non può essere imposto, anzi, imporlo crea l’effetto opposto ed è un atto che richiede anche reciprocità; può liberamente fluire se ci si riconosce nel dolore dell’altro e soprattutto se si riconosce il dolore dell’altro.
Se un uomo è solo colpevole non potrà empatizzare veramente con una donna, mentre una donna, essendo cristallizzata nel ruolo di vittima, non potrà veramente empatizzare con l’uomo.
Poiché non è vero che in famiglia uccidono solo gli uomini (anche le donne si danno un bel da fare) questo crea degli effetti paradossali.
Nel 2012 ci sono stati omicidi raccapriccianti di uomini agiti delle loro mogli. Alcuni si sono presi la briga di mettere in un elenco le aggressioni femminili del 2012 (nota 3) ed è impietoso anche se, per la minore forza fisica, il convivente viene spesso solo gravemente ferito riuscendo a sopravvivere, sia pure malmesso.

Attenzione!

Siamo alla profezia che si auto avvera (in questo modo gli psicologi indicano il fatto che una persona (...continua http://bigenitorialitaedintorni.wordpress.com/?p=855&preview=true )

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